Di Maria Grazia Casali
Li hanno accusati di sovvertire l’ordine costituito e
ignorare i valori tradizionali, di partire dall’esperienza e dalla vita dei
singoli per configurare la nuova società, di disattendere i vecchi principi, di
portare alla ribalta l’uomo e la sua individualità, con il grave rischio di
cadere nel relativismo etico.
Il problema era serio.
I detentori ufficiali della cultura filosofica, unica forma
di sapere autorevole, si erano arenati nella conoscenza e interpretazione del
mondo. Si affermava ormai tutto e il contrario di tutto in fatto di conoscenza
della physis, cioè del mondo naturale,
per cui l’universo era mobile ma anche immobile, il mondo derivava da un
ordinamento intelligente ma anche da un moto meccanico. E si trascurava lo
studio dell’uomo con tutto ciò che l’uomo aveva di squisitamente umano.
Gli dei stavano a guardare - sicuramente divertiti - questi sofisti, i nuovi intellettuali che i “virtuosi per nascita” temevano, per la paura di perdere il potere.
Furono le crepe nel sapere istituzionale, insieme alle nuove
condizioni sociali ed economiche, agli spostamenti migratori, all’ingresso
massiccio in Atene dei “meteci” cioè degli stranieri, il diffondersi di nuovi
stili di vita e costumi; fu l’accesso al potere di cerchie sociali più vaste a
produrre la rottura e a permettere la “discesa in terra, tra la gente, della
filosofia”.
I sofisti avevano colto nel segno, per questo riscuotevano
tanto successo tra i giovani, che del disagio erano la cartina di tornasole più
eloquente.
Fa riflettere questo, all’interno della nostra situazione
sociale e politica, negli elementi comuni che vi possiamo ritrovare.
Già ventiquattro secoli fa e come noi oggi, i sofisti mostravano il declino di un mondo e la necessità di una coscienza critica che non crede ciecamente, ma investiga e costruisce una “produttività dello spirito” in grado di cogliere in piena libertà le conseguenze dei fatti umani.
Per qualcuno, oggi, che non getta l’occhio un po’ intorno ai
flussi migratori, per esempio, alla globalizzazione della comunicazione
attraverso i social, ai nuovi modelli economici e di organizzazione sociale, la
crisi della modernità è dovuta al cieco e colpevole rifiuto del passato, al
rigetto delle consolidate regole pubbliche e private.
Questa nostalgia del tempo che fu, e ormai irrimediabilmente
perso, non tiene conto del fatto che la società è in perenne movimento. E che gran
parte delle regole di quel passato sono state edulcorate dalla prassi, se non adulterate
da comportamenti ipocriti e di falsa devozione. Basti pensare agli scandali che
ogni giorno offendono le nostre coscienze.
Questa nostalgia del passato non tiene conto del fatto che
senza i sofisti, “sovvertitori” del pensiero istituzionalizzato, non avremmo
avuto Socrate e Platone, e tutto il discorso sulla filosofia morale.
La realtà è che è lo stesso passato, con le vecchie regole, a non riuscire più a contenere il nuovo, a trattenere all’interno degli argini l’esondazione della nuova umanità. Non si tratta di sovvertire l’ordine costituito ma, ancora una volta nella storia, di rispondere a nuovi bisogni. Di vivere dentro il tempo nostro.
La “nuova inciviltà”, come qualcuno la chiama, non è dovuta
al semplice rifiuto delle vecchie regole, ma alla mancata costituzione di un nuovo
solido codice etico che si imponga dall’interno delle coscienze e che valorizzi
l’esperienza, mai uguale a se stessa.
Cosa c’entrano dunque i sofisti con il discorso sulle donne?
I sofisti negarono l’assoluto del pensiero, cioè i
fondamentalismi.
Avanzarono l’istanza del pensiero critico, di uno sforzo
necessario all’uomo per rispondere a problemi nuovi in un società che andava
evolvendo, allora, verso modelli democratici. Si appellavano a una nuova
cultura umanistica che ponesse l’uomo al centro del pensiero.
Il dibattito in corso oggi sui nuovi rapporti tra i generi andrebbe
calibrato partendo da qua. Da una nuova cultura umanistica.
Dal porre al centro del discorso l’evoluzione della persona,
i rapporti, le nuove modalità di relazione con il mondo.
Donne e uomini sono dentro il cambiamento, non solo sono
criticati i vecchi ruoli, ma sono già in atto i nuovi, molti imposti dai recenti
modelli economici.
È atteggiamento miope considerare questa diversità come
contrapposizione, come qualcosa di contrario a qualcos’altro. In un
atteggiamento nostalgico dei “bei” tempi che furono.
Difficile, così, cogliere sviluppi ed effetti della
modernità.
Occorre ripartire dallo studio dei fenomeni per la
costruzione di una nuova etica che metta in rilievo i termini dei rinnovati
modelli di comportamento umano, che ponga domande nuove intorno all’agire
dell’uomo, a ciò che è bene e a ciò che è male.
Con buona pace dei falsi “sofisti”, di quelli che vendono le “verità” senza ritegno
morale. Con i soliti inservibili freni tirati e gli occhi bendati dentro il
nuovo che avanza.
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