lunedì 19 maggio 2014

Al di là del genio femminile

Di Maria Grazia Casali

“Io che sono nata donna presi a esaminare me stessa e pensavo alle altre donne che avevo frequentato, ma non riuscivo a riconoscere il fondamento di questi giudizi contro la natura e il comportamento femminile.”

L’autrice apre con questo incipit. Con le parole di una femminista ante litteram, Christine de Pizan, nata a Venezia nel 1362, riconosciuta come la prima scrittrice europea di professione.
Non lo fa per sottolineare il problema antico, ma per porre la questione sempre attuale del difficile rapporto tra uomini e donne.
Ma c’è davvero un problema? Che cos'è una donna nei confronti di un uomo, e che posto occupa nel mondo?
Benedetta Zorzi, teologa e monaca benedettina, ripropone queste domande nel suo libro “Al di là del genio femminile”, e ci consegna risposte trovate nella fatica della sua ricerca accademica, nel confronto con gli studenti di teologia, e soprattutto nei testi sacri, ma non solo.
Nell'illustrare i modelli dell’antropologia cristiana sulla questione femminile, tratti da una bimillenaria riflessione scritta dagli uomini, l’autrice ci descrive esempi biblici e non, nell'intersezione con i diversi femminismi storici, alla rincorsa dei secoli: la Genesi, la filosofia classica, i Padri della Chiesa, fino a san Tommaso e alla Mulieris dignitatem.
Smascherando le ideologie che il discorso teologico ha prodotto nel tempo.
Un percorso accidentato, il suo, per arrivare al dunque, al cuore della questione teologica. Ma la donna a quale immagine di Dio fu creata? Quale il suo compito nella Chiesa?
Una delle risposte per un credente, o meglio la risposta, è cercata nel concetto della Rivelazione da cui non si può prescindere. Rivelazione come fatto storico che si manifesta quindi nel vivere degli uomini ma anche delle donne a cui Dio si rivolge. Solo partendo dal riconoscimento della piena soggettività di tutti i suoi appartenenti, la Chiesa terrena sarà in grado di “riflettere sempre meglio l’immagine di Colui che l’ha creata”.
Ricco di citazioni che si annodano all'argomentare e ne rendono chiaro il dettato, il testo si presta a più livelli di lettura.
È uno di quei libri che più si rileggono e più si rivelano, lasciando la curiosità di andare oltre.

“Al di là del genio femminile. Donne e genere nella storia della teologia cristiana."
Benedetta Selene Zorzi, Carocci editore.

sabato 12 aprile 2014

I diari di Adamo ed Eva

Di Francesco Longo
Europa quotidiano

Nell’epoca in cui termini come “maschile” e “femminile” sembrano pronti per le teche di un museo, l’operazione più spericolata che si possa immaginare è ironizzare su ruoli, stereotipi e generi sessuali. In questo vasto campo minato che è la cultura attuale, viene in aiuto un vecchio libro di Mark Twain che la casa editrice Bordeaux ha saggiamente ripubblicato adesso, e che può fare da vaccino nei tempi austeri del politicamente corretto. Il libro si intitola I diari di Adamo e di Eva (pag. 180, euro 14, illustrato da Edoardo Palmigiani e Lester Ralph).
In principio i diari furono pensati separatamente: quelli di Adamo facevano parte di un volume sulle cascate del Niagara (uscirono autonomamente nel 1904), mentre quelli di Eva sono del 1905. Sono stati pubblicati insieme per la prima volta negli Stati Uniti nel 1995.
Nell’incipit c’è già tutto il registro ironico di Twain: «Questa nuova creatura dai capelli lunghi mi sta sempre tra i piedi». Il giorno in cui Adamo inizia a prendere appunti c’è già Eva al suo fianco. La sua vita merita di essere raccontata da quando compare lei. Subito intravede delle differenze e le annota: «Io non ho ancora avuto modo di dare nome a qualcosa. È la nuova creatura a denominare tutto quello che le capita a tiro». Insieme alle diversità, arrivano presti i fastidi, segnati dalla comicità di Twain: «Vorrei che non parlasse: parla di continuo». Adamo è stupito dai comportamenti di Eva – «la nuova creatura mangia troppa frutta» – e sorpreso dal fatto che lei si ponga al suo livello: «Dice anche di non essere una cosa, ma una donna».
Di fatto, Adamo è razionale, ottuso, pigro, privo di uno sguardo incantato o poetico, mentre Eva è intraprendente, sdolcinata, curiosa. Lei chiacchiera, lui fugge, lei lo ritrova. Secondo Twain, Adamo è incredulo per il fatto che lei esprima dei sentimenti: «È venuta un’altra volta a fare quel rumore penoso e a versare acqua dai buchi con cui guarda».

domenica 23 marzo 2014

L'amazzone e i fornelli

Perché in tutte le culture le donne sono state escluse dalla caccia? 
Perché non lavoravano a bordo delle navi o in guerra, come soldati? Perché abbiamo assegnato loro il compito di raccogliere, filare, tessere, conciare? 
Come si spiega che ci siano stati ruoli maschili e ruoli femminili nelle attività agricole del passato?

In uno studio, che unisce rigore scientifico e audacia intellettuale, Alain Testart dimostra che l'origine della differenziazione delle attività maschili e femminili è riconducibile alla preistoria lontana. 
Queste credenze, anche tacite e irrazionali , hanno avuto potenti effetti sulla realtà e hanno obbedito per secoli a una logica nascosta.
Anche se la tradizionale divisione delle attività sarà presto un ricordo del passato, non fa meraviglia la sua costanza quasi universale fino al tempo presente.

Il saggio è di Alain Testart, un etnologo-antropologo francese.

Collection Bibliothèque des Sciences humaines, Gallimard
Parigi, 2014

mercoledì 19 febbraio 2014

Un papa, sette donne, tre domande, i commenti dei lettori

di Maria Grazia Casali

Oggi sul blog del Corriere "La ventisettesima ora" hanno pubblicato l'iniziativa di sette autorevoli donne che rivolgono al papa tre domande ciascuna.

Degno di nota non è tanto l'articolo, pur molto interessante, pubblicato sulla rivista "Leggendaria", che ripercorre i temi caldi delle donne nella chiesa, del sacerdozio femminile e della marginalizzazione, quanto la serie dei commenti dei lettori qui di seguito riportati:

  • la Chiesa, come istituzione, è profondamente misogina. La donna esiste come oggetto di una teologia, non come soggetto.
  • Non è singolare che delle donne non credenti e lontane dalla Chiesa si permettano di dire al Papa ciò che deve o dovrebbe fare su questi temi. Che poi tali donne siano anche femministe, portatrici cioè di una visione radicale, intollerante e condannata dalla storia, spiega tutto. Ciò perché solo un perfetto ignorante può sostenere che ruolo della donna nella Chiesa sia marginale. La marginalità è data dall'inutilità. Il sacerdozio è solo uno dei tanti modi per servire Dio e la Chiesa. Gesù diceva che chi vuole essere primo, sia ultimo. Chi vuole essere primo nel Regno di Dio, sia servo degli altri. Non vi è chi non veda che migliaia sono le donne consacrate nel mondo che si rendono ogni giorno serve dei poveri e dei bisognosi: sfido chiunque a sostenere che esse siano marginali nella Chiesa!
  • Purtroppo, la donna è vista tuttora (nel 2014) come l’ancella, la sottomessa, l’obbediente, l’addolorata.
  • Questo Papa sta già facendo cose ai limiti dell’eresia ci mancherebbe solo il sacerdozio femminile. Se Gesù Cristo avesse voluto avrebbe istituito il sacerdozio femminile dall'inizio, se non l’ha fatto ci saranno delle buone ragioni. Se da 2.000 anni il sacerdozio è solo maschile così deve restare. Ci sono cose immutabili per un credente: no all'aborto in ogni forma, no al divorzio, no all'eutanasia e, ovviamente, no al sacerdozio femminile, no all'omosessualità. Se il Papa cedesse su uno solo di questi punti vorrebbe dire che la Chiesa cattolica non esiste più e che hanno ragione quelli che, dopo lo sciagurato Vaticano II, la sede papale è vacante.
  • Le donne non sono marginali nella Chiesa. Forse è l’unico posto dove hanno un ruolo.
  • Nella parrocchia che frequento le donne guidano il catechismo, danno i corsi di evangelizzazione, partecipano al consiglio pastorale, educano alla fede nelle famiglie. Fanno tutto serenamente. Il sacerdozio è un servizio, non un traguardo. Il sacerdote non ha uno stipendio o una posizione più alta. La stima è reciproca. Compiti diversi e ugualmente importanti. Vivere pienamente l’essere donna non vuol dire necessariamente diventare come gli uomini. Siate orgogliose del vostro ruolo e dei talenti che avete e che, grazie a Dio, sono diversi da quelli degli uomini.
  • Ci si divide tra femministe progressiste astiose che vedono discriminazione ovunque e vorrebbero un Papa donna, possibilmente lesbica, e oscurantisti medievali che maledicono il Vaticano II e vorrebbero che la domenica le femmine aspettassero i loro mariti fuori dalla chiesa, legate col guinzaglio a un lampione. A entrambi dico: la Chiesa che chiedete, a vostra immagine, NON è la Chiesa di Dio. E’ il solito vecchio problema del relativismo.
  • Storicamente parlando l’ultima cosa di cui si occupa la chiesa sono i poveri quindi chi se ne occupa e’ senza ombra di dubbio e’ l’ultimo gradino della scala gerarchica ecclesiastica. 
  • Il no al sacerdozio femminile non è un dogma del cristianesimo. E’ un limite imposto dalla Chiesa, non c’entra niente Gesù.
  • Le leggi proclamate dalla chiesa sono al di sopra di qualsiasi etica suggerita dalla ragione umana;in altre parole;o sei con me, o sei contro di me. BRRBRR, meno male che la santa inquisizione è finita da un pezzo
  • Trovo che il sacerdozio femminile sia sopravvalutato. Gesù ai suoi tempi ha dato scandalo in decine di modi ma gli apostoli li ha scelti uomini e nessuno di certo glielo ha imposto
  • “Se Gesù Cristo avesse voluto avrebbe istituito il sacerdozio femminile dall'inizio, se non l’ha fatto ci saranno delle buone ragioni.” Le faccio notare un paio di cose: 
  1. Questo Gesù, ammesso che sia esistito non ha formalmente stabilito alcun sacerdozio.
  2. Stabilire un sacerdozio femminile nella Palestina di 2000 anni fa sarebbe stato praticamente impossibile. La società ebraica, così come molte altre società dell’epoca (e, purtroppo, di oggi) costringeva le donne in una condizione di sottomissione totale all'uomo. Per una donna non era concepibile avere le stesse libertà di decisione, azione e movimento che avevano gli uomini.
  3.  Istituire il sacerdozio femminile significherebbe dare un riconoscimento alle donne che la Chiesa cattolica scongiura fin dalla sua nascita. E non è l’unica purtroppo. Perché? Perché il riconoscimento comporta emancipazione, indipendenza, maggior peso...
  • Credo che l’atteggiamento e l’approccio alle istanze sollevate dalle donne nell'articolo debbano essere ricchi di Carità, di disponibilità e di accoglienza doti sulle quali le donne hanno certamente marce in più senza mai esprimere contrapposizioni esasperate che indicano più delle necessità che delle ragioni. Dio ci Benedica.
  • E' proprio per idee come le vostre che mi sono allontanata disgustata dalla chiesa cattolica, una chiesa in cui sono “la costola” di qualcuno e non un individuo completo. Una chiesa dove l’uomo è il padrone e la donna la serva. Disgustoso.
  • La chiesa cattolica è solo quella che, fin dall'inizio, ha saputo inciuciarsi meglio con il potere.
  • “Non vi è chi non veda che migliaia sono le donne consacrate nel mondo”: si, a fare le serve, mentre gli uomini sono consacrati facendo i re i principi, vestiti di ermellino e coperti d’oro e vivendo in palazzi da mille e una notte. Sapete cosa, in fono sono le donne, forse, le uniche ad aver capito il messaggio di quel tale. voi uomini proprio non ci arrivate, siete solo attaccati al potere e ai vostri privilegi.
  • L'unico vero problema del sacerdozio femminile…..sarebbe la interminabile predica durante la messa.


domenica 16 febbraio 2014

L'amore dopo la guerra

La condizione dei rapporti d'amore nel dopoguerra e oltre.
Uno speciale della Rai che percorre le trasformazioni della storia sociale italiana attraverso documentari realizzati a partire dalla fine degli anni Cinquanta.
L`universo femminile e quello maschile alle prese con il sentimento dell`amore. A commento dei filmati tre donne, una sessuologa e due scrittrici di diversa generazione.
Gli ostacoli che ha incontrato l’emancipazione femminile vanno iscritti soprattutto nel rigido schema familiare e sociale che in passato faceva dell’amore l’unico investimento legittimo delle donne, il cui orizzonte si esauriva nel matrimonio e nella cura dei figli.
I cambiamenti degli ultimi trent'anni hanno assicurato alle donne maggiore autonomia, scardinando i vecchi modi di intendere e di vivere il rapporto d’amore.
Quali sono ora le reciproche aspettative, di uomini e donne, nella relazione di coppia?

venerdì 7 febbraio 2014

Se la donna è un'ossessione

di Massimo Recalcati
la Repubblica,
6 febbraio 2014

Quando irrompe l’insulto ogni forma di dialogo diviene impossibile perché la condizione del
dialogo – sulla quale si sostiene ogni democrazia – è il riconoscimento di eguale dignità dell’interlocutore. L’insulto è l’irruzione di uno stop, di una violenza che rende la parola stessa una sorta di oggetto contundente.
Nei recenti episodi che hanno coinvolto il leader del M5S e i suoi adepti esso si è però colorato di un riferimento forte alla sessualità che sarebbe opportuno non sottovalutare. Perché?
L’insulto sessista scavalca il dibattito politico pretendendo di toccare direttamente l’essere dell’avversario.
L’odio più puro non è infatti per le idee, ma per l’essere: negro, comunista, ebreo, gay, donna? Il politico regredisce qui alla dimensione ciecamente pulsionale del pre-politico. Il nemico non è qualcuno che ha idee diverse dalle mie, ma è un impuro, un essere profondamente corrotto, indegno, privo di etica, per definizione reietto.

Una donna è per il leader del M5S questo? Perché altrimenti suggerire la fantasia di cosa si potrebbe fare alla Boldrini avendocela in auto? A chi verrebbe mai in mente di proporre un quesito del genere? Gli
psicoanalisti sanno bene che le fantasie non sono mai innocenti perché traducono moti pulsionali inconsci. Che razza di rappresentazione inconscia il leader del M5S ha del femminile?
Lo scatenamento delle fantasie sessuali sul web ha fornito un ritratto inquietante della pancia del
movimento che egli rappresenta.

Di questo ritratto vorrei mettere in luce due aspetti particolari.
Il primo è la prossimità perturbante con quella cultura berlusconiana che ha fatto della degradazione del corpo femminile una sua tristissima insegna illuminando così la matrice inconscia di quel movimento che si propone come alternativa al berlusconismo. “Sei una puttana!” “Sai fare solo pompini!” non sono affatto insulti post-ideologici, da bar sport, ma riflettono una ideologia totalitaria in piena regola che riduce la donna a roba, oggetto, strumento di godimento, pezzo di carne da dare in pasto agli appetiti di maschi in calore.
Il secondo è un arcaismo di fondo: quello del padre totemico che gioca coi figli al gioco della rivoluzione senza rendersi conto di quale potenziale ad alto rischio maneggia.
Ha allora ragione la Presidente Boldrini a ricordarci che in chi esercita questa violenza verbale si cela uno stupratore potenziale.
Con l’aggravante che l’appartenenza ad un collettivo, ad un gruppo in assunto di base rigido direbbe Bion, guidato cioè da un forte ideale di purezza autorizza a ingiuriare le donne rendendo il pericolo dello stupro ancora più reale: i commenti osceni, lo scatenamento di fantasie sadico-aggressive, la regressione dell’umano all’animale disinibito è, come mostra bene Freud ne "La psicologia delle masse", un effetto del fare e del sentirsi “massa”.
Non c’è limite al Male per coloro che pretende di fare le veci assolute del Bene.
Gramsci sosteneva che il valore etico di una Civiltà dovesse avere come sua misura di fondo la condizione e il rispetto per le donne. Potremmo tradurre questo concetto affermando che la democrazia ha sempre un’essenza femminile. Essa si fonda sulla cura delle relazioni, sulla legge della parola, sull’unione delle differenze, sulla dimensione fatalmente precaria che sempre comporta la vita insieme.

L’ingiuria e il disprezzo verso le donne e le istituzioni democratiche non sono l’opposizione legittima all’ingiustizia, ma sono solo l’altra faccia dell’uso perverso e corrotto delle donne e delle istituzioni democratiche che ha fatto nel nostro paese scempio della politica.

Quanta strada ancora da fare

Corriere della Sera, Bergamo, 7 febbraio

«Il successo dell’ospedale di Seriate? Gli infermieri, ma solo quelli italiani: «Qui non ci sono marocchine o rumene». A dirlo - durante l’inaugurazione del nuovo blocco medico in presenza del presidente della Lombardia Roberto Maroni - il direttore generale della struttura in provincia di Bergamo, Amedeo Amadeo. Tra il pubblico politici, tanti operatori sanitari e anche qualche religioso: risate e imbarazzo la reazione alle parole del dg. Amadeo ha spiegato: «Nel 2013 il nostro ospedale ha fatturato 1,5 milioni di euro in più rispetto al 2014. Lo dobbiamo al miglioramento della struttura, ma soprattutto a chi ci lavora. I medici, certo, ma più ancora ai mille infermieri, molti dei quali formati nella nostra scuola professionale.Qui non ci sono marocchine o rumene (che comunque sono meglio dei rumeni)».

Nessun imbarazzo davanti ai mormorii del pubblico, Amadeo continua a presentare i risultati di tre anni di cantiere e quando invita una dirigente sul palco offre un altro momento di cabaret: «Venga, dottoressa Auriemma — poi, rivolto al pubblico —, che è ancora una donna interessante, una volta era una bella gnocca». Ancora risate e mormorii imbarazzati. Maroni, quando sale sul palco, sottolinea le parole del direttore generale. «Quando avrà finito con la sanità, avrà un posto sicuro da intrattenitore e io suonerò con lei», dice il governatore lombardo, con trascorsi da tastierista.

lunedì 3 febbraio 2014

Cosa c'entrano i sofisti?

Di Maria Grazia Casali

Li hanno accusati di sovvertire l’ordine costituito e ignorare i valori tradizionali, di partire dall’esperienza e dalla vita dei singoli per configurare la nuova società, di disattendere i vecchi principi, di portare alla ribalta l’uomo e la sua individualità, con il grave rischio di cadere nel relativismo etico.
I problemi di oggi sono stati i problemi di ieri quando allo stesso modo, nel quinto secolo prima della nascita di Cristo, furono messi in crisi la polis, cioè la struttura politica, e il prestigio delle tradizionali “agenzie culturali” che modellavano la società ateniese.
Il problema era serio.

I detentori ufficiali della cultura filosofica, unica forma di sapere autorevole, si erano arenati nella conoscenza e interpretazione del mondo. Si affermava ormai tutto e il contrario di tutto in fatto di conoscenza della physis, cioè del mondo naturale, per cui l’universo era mobile ma anche immobile, il mondo derivava da un ordinamento intelligente ma anche da un moto meccanico. E si trascurava lo studio dell’uomo con tutto ciò che l’uomo aveva di squisitamente umano.

Gli dei stavano a guardare - sicuramente divertiti - questi sofisti, i nuovi intellettuali che i “virtuosi per nascita” temevano, per la paura di perdere il potere.
Furono le crepe nel sapere istituzionale, insieme alle nuove condizioni sociali ed economiche, agli spostamenti migratori, all’ingresso massiccio in Atene dei “meteci” cioè degli stranieri, il diffondersi di nuovi stili di vita e costumi; fu l’accesso al potere di cerchie sociali più vaste a produrre la rottura e a permettere la “discesa in terra, tra la gente, della filosofia”.
I sofisti avevano colto nel segno, per questo riscuotevano tanto successo tra i giovani, che del disagio erano la cartina di tornasole più eloquente.
Fa riflettere questo, all’interno della nostra situazione sociale e politica, negli elementi comuni che vi possiamo ritrovare.

Già ventiquattro secoli fa e come noi oggi, i sofisti mostravano il declino di un mondo e la necessità di una coscienza critica che non crede ciecamente, ma investiga e costruisce una “produttività dello spirito” in grado di cogliere in piena libertà le conseguenze dei fatti umani.
Per qualcuno, oggi, che non getta l’occhio un po’ intorno ai flussi migratori, per esempio, alla globalizzazione della comunicazione attraverso i social, ai nuovi modelli economici e di organizzazione sociale, la crisi della modernità è dovuta al cieco e colpevole rifiuto del passato, al rigetto delle consolidate regole pubbliche e private.

Questa nostalgia del tempo che fu, e ormai irrimediabilmente perso, non tiene conto del fatto che la società è in perenne movimento. E che gran parte delle regole di quel passato sono state edulcorate dalla prassi, se non adulterate da comportamenti ipocriti e di falsa devozione. Basti pensare agli scandali che ogni giorno offendono le nostre coscienze.
Questa nostalgia del passato non tiene conto del fatto che senza i sofisti, “sovvertitori” del pensiero istituzionalizzato, non avremmo avuto Socrate e Platone, e tutto il discorso sulla filosofia morale.

La realtà è che è lo stesso passato, con le vecchie regole, a non riuscire più a contenere il nuovo, a trattenere all’interno degli argini l’esondazione della nuova umanità. Non si tratta di sovvertire l’ordine costituito ma, ancora una volta nella storia, di rispondere a nuovi bisogni. Di vivere dentro il tempo nostro.
La “nuova inciviltà”, come qualcuno la chiama, non è dovuta al semplice rifiuto delle vecchie regole, ma alla mancata costituzione di un nuovo solido codice etico che si imponga dall’interno delle coscienze e che valorizzi l’esperienza, mai uguale a se stessa.

Cosa c’entrano dunque i sofisti con il discorso sulle donne?
I sofisti negarono l’assoluto del pensiero, cioè i fondamentalismi.
Avanzarono l’istanza del pensiero critico, di uno sforzo necessario all’uomo per rispondere a problemi nuovi in un società che andava evolvendo, allora, verso modelli democratici. Si appellavano a una nuova cultura umanistica che ponesse l’uomo al centro del pensiero.
Il dibattito in corso oggi sui nuovi rapporti tra i generi andrebbe calibrato partendo da qua. Da una nuova cultura umanistica.
Dal porre al centro del discorso l’evoluzione della persona, i rapporti, le nuove modalità di relazione con il mondo.

Donne e uomini oggi sono diversi.
Donne e uomini sono dentro il cambiamento, non solo sono criticati i vecchi ruoli, ma sono già in atto i nuovi, molti imposti dai recenti modelli economici.
È atteggiamento miope considerare questa diversità come contrapposizione, come qualcosa di contrario a qualcos’altro. In un atteggiamento nostalgico dei “bei” tempi che furono.
Difficile, così, cogliere sviluppi ed effetti della modernità.

Occorre ripartire dallo studio dei fenomeni per la costruzione di una nuova etica che metta in rilievo i termini dei rinnovati modelli di comportamento umano, che ponga domande nuove intorno all’agire dell’uomo, a ciò che è bene e a ciò che è male.

Con buona pace dei falsi “sofisti”, di quelli che vendono le “verità” senza ritegno morale. Con i soliti inservibili freni tirati e gli occhi bendati dentro il nuovo che avanza.

giovedì 30 gennaio 2014

Le mamme non sono una categoria a parte: fatevene una ragione

Le mamme di oggi sono molto tecnologiche, vanno su Google per documentarsi sui trattamenti anti-pidocchi, creano su Facebook gruppi per i consigli di classe e si aggiornano in tempo reale sui compiti con WhatsApp. Qualcuna fa anche il live tweet dalla sala parto. Lo racconta ad AdnKronos Salute Tonino Cantelmi, docente di psicologia dello sviluppo alla Lumsa. Dopo avere studiato per anni i nativi digitali, il professore è giunto alla conclusione che anche le loro mamme sono iper-connesse.
Ora, prima che archiviate la notizia alla voce “scoperta dell’acqua calda”, forse è il caso di soffermarci un po’ sul sottotesto.
Ovviamente, se le mamme dei bambini piccoli, cioè quelle che si preoccupano dei pidocchi, sono iper-connesse, non è perché sono mamme, ma perché sono, beh, giovani. E come qualsiasi altro individuo sotto-una-certà-età, anche loro passano l’esistenza attaccate a smartphone e tablet. Di mamme millennial, cioè nate dopo il 1980, ormai sono pieni asili e scuole elementari, persino in Italia, dove i figli si fanno notoriamente tardi.
Ma allora, se che i millennial sono la generazione più iper-connessa di sempre ormai lo sanno tutti, perché sentiamo il bisogno di discutere di “mamme tecnologiche”? Perché parlare delle “mamme social” come se fossero un’entità separata dalla generazione ultra-social cui appartengono?

Una spiegazione potrebbe essere: perché le mamme non sono esseri umani. Beh, non esseri umani proprio come tutti gli altri.
La “mamma” è sempre qualcosa di altro. Un mondo a parte. Sembra quasi che il solo fatto di avere partorito un figlio – fatto piuttosto frequente, peraltro, tra gli individui di sesso femminile – ponga una donna al di fuori dal consesso comune, trasformandola in un archetipo, una categoria protetta.

Vivere nel paese del “la mamma è la cosa più bella del mondo” ha una serie di controindicazioni. La nostra è una cultura doppiamente mammo-centrica, continua a leggere

lunedì 27 gennaio 2014

L'amore a pagamento, un seminario per parlarne

Chi sono veramente?
"Sono uomini che considerano il rapporto con la prostituta come 'complementare' a una relazione stabile, spiega Mirta Da Pra Pocchiesa, giornalista e responsabile del Progetto Prostituzione e tratta delle persone del Gruppo Abele.
Sono uomini che nel rapporto con la prostituta vedono l'unico rapporto possibile per loro, in quanto ritengono di avere difficoltà relazionali e affettive con le donne 'normali'.
Poi c'è una piccola categoria di appartenenti ai gruppi dei clienti "particolari": con disabilità, con difficoltà sessuali, sadomasochisti, violenti, maniaci, o che preferiscono persone transessuali. Ci sono poi i clienti che si innamorano delle prostitute e le sposano, i cosiddetti clienti "salvatori". E non mancano i clienti "vittime" che si fanno manipolare, i clienti "padroni", i clienti "dell'estremo" alla ricerca della diversità a tutti i costi per non annoiarsi, i clienti "compulsivi" dipendenti dal sesso e perfino i clienti "punitivi": generalmente in gruppo e sotto l'effetto di sostanze vogliono punire le prostitute per il giudizio moralistico che hanno su di loro.

Sono uomini di tutte le professioni, ma in prima fila ci sono militari, marinai, pescatori, camionisti, lavoratori immigrati, uomini d'affari. Italiani, eterosessuali, con buona istruzione, adulti. In questi ultimi anni aumentano gli anziani, grazie al Viagra. La metà sono sposati. Uomini normali. Le motivazioni sono le più disparate e la lista dei "perché" è lunghissima. Ben 24 punti: si va con le prostitute per esprimere al massimo la propria potenza di fronte ad un "oggetto sessuale degradato", per bisogno fisiologico, per cercare conferme alla propria virilità, perché si ha paura del giudizio della donna, per trasgressione, per solitudine psicologica, per trovare modelli "vecchi" e "certi" di donne, per una sorta di rivalsa perché detestano le donne, per sperimentare nuove esperienze, perché altrimenti nessuna donna andrebbe con loro, perché con le prostituite non bisogna impegnarsi.
Un esercito invisibile - la maggior parte si vergogna - che conta in Italia almeno 2 milioni e mezzo di clienti, che cercano sesso a pagamento in strada, in luoghi chiusi o su internet. Il dato drammatico è che aumenta (dal 5 al 12% a seconda dei territori) la ricerca di rapporti con minorenni e soprattutto il turismo sessuale, che le organizzazioni cominciano a chiamare "turismo cattivo". Gli italiani hanno il vergognoso primato di essere i primi turisti sessuali in Kenya.

Sessualità e potere. "Oggi c'è una connessione sempre più forte tra sessualità e potere - commenta la giornalista -, e negli ultimi anni, anche tra sessualità, denaro e politica.
È condizionata da internet, dalla pornografia e dalla mobilità, ma è anche una questione di genere e di rapporti tra i generi". Secondo le ricerche "c'è una costruzione sociale negativa nei confronti delle prostitute e una positiva nei confronti del cliente, anche perché chi legifera è quasi sempre maschio.
La legge, in Italia, tutela e protegge il cliente (anche ignorandolo) da sempre. Negando la reciprocità si nega la comune responsabilità".


sabato 25 gennaio 2014

Primavera araba per chi?

Un cambiamento e uno sviluppo vero non avverrà nel mondo arabo senza un cambiamento essenziale della condizione femminile. "Si potrà parlare di primavera araba quando le donne non saranno discriminate" sono le testuali parole dell'avvocatessa iraniana e premio Nobel per la pace Shirin Ebadi.

E non ha sicuramente torto. Sono passati meno di tre anni e ci troviamo di fronte ad una situazione a dire poco buia sui frutti della cosiddetta Primavera araba!

Di recente é stato pubblicato un rapporto internazionale sulla condizione delle donne nei paesi arabi. Non è un mistero che tutti e nessuno escluso si aggiudicano gli ultimi posti al mondo per quanto riguarda rispetto e tutela dei diritti delle donne.
I giornali si sono subito affrettati a sottolineare che al primo posto c'è l'Egitto come peggior paese per la condizione della donna. Anche se i dettagli negli altri paesi sono più allarmanti.
Bisogna distinguere infatti tra il deficit strutturale e legislativo in alcuni paesi (soprattutto paesi del Golfo) e il peggioramento a causa dei conflitti in atto in altri come Libia, Tunisia, Siria e Egitto, dove, con mille difficoltà, le donne avevano fatto passi da giganti, ma dove purtroppo, questa cosiddetta Primavera ha azzerato i vantaggi ottenuti e ha rimesso tutto in discussione.

Tutte le Costituzioni nel mondo arabo, là dove ci sono perché alcuni paesi del Golfo non hanno una vera e propria Costituzione, evitano di affrontare in modo chiaro questo tema. Nessun accenno all'uguaglianza e alla parità tra i sessi, ma solo un'uguaglianza generica, non traducibile in leggi e chiari diritti.

venerdì 24 gennaio 2014

Sociabilità e relazioni femminili nell'Europa moderna

Undici saggi legati tra loro da un filo “socievole”: quello delle forme in cui donne e uomini si associarono nel passato, dalla fine del Quattrocento al primo Ottocento da cui emerge un'analisi quasi cordiale dei rapporti "di genere", presentati senza ambizioni teoriche in una serie di quadri e momenti di ravvicinata e vivace sensibilità.

Il libro, che sarà presentato martedì 28 gennaio alle ore 17 alla Sala Napoleonica di Palazzo Greppi, in via Sant’Antonio 10 a Milano, analizza situazioni "associative" dove donne e uomini si ritrovano a lavorare o a divertirsi insieme. Per motivi di affinità lavorativa o rituale, come nelle associazioni di mestiere, nelle confraternite, o società di vicinato; per motivi di passatempo, come nelle compagnie di giovani organizzatori di feste, o nei salotti, dove si affiancava ai giochi di tarocchi la conversazione elegante e la cultura letteraria.

La raccolta analizza il mutare del ruolo di donne e uomini nella chiesa e nella filosofia - dalle controversie seguite al bando degli sponsali a favore del matrimonio in chiesa, alla riflessione settecentesca sulla contraddizione tra eguaglianza umana e disuguaglianza femminile.
Si periodizza la vicenda delle "conversazioni" e dei salons d'intrattenimento e d'ingegno; si seguono i dibattiti sulle serate della buona società quando si aprirono alle dame sposate coi loro "cicisbei".
Si seguono casi quotidiani d'avventura e cambiamento: dalla vita delle monache tra clausura e indulgenza, alla scoperta medica e sociale della "sensibilità" femminile nel settecento; dal codice dell'onore familiare che emerge dalla vicenda di una bambina di dubbia nascita, contesa tra famiglia di sangue italiana e famiglia d'affetto inglese, alla lettura di carteggi d'amore e d'amicizia, come quello tra Vincenzo Monti con le sue dame "letterate".


sabato 18 gennaio 2014

Quanto ci costa il silenzio?

Il fenomeno è difficile da misurare, le vittime parlano assai meno degli autori di reato.
La mancanza di investimenti in azioni di prevenzione e in attività di sostegno e cura verso le donne vittime di violenza, causa un enorme danno economico e sociale.
Quanto ci costa il silenzio?
La prima indagine nazionale, promossa dalla Fondazione Intervita Onlus affronta per la prima volta in Italia questa domanda complessa.

Il progetto prende il via dall’unica ricerca nazionale sul fenomeno (Istat 2006). Partendo
da questi dati, e con il conforto di altri numerosi studi internazionali, con la validazione di un Comitato Scientifico e competenze multidisciplinari, le ricercatrici di Intervita, hanno saputo ricostruire un valore approssimato, per difetto, dei costi della violenza contro le donne in Italia.
Non è solo una operazione scientifica, che da sola già meriterebbe di essere approfondita, ma è soprattutto un atto politico e culturale di grande rilevanza, specie per un paese come il nostro, allergico alla misurazione continua e coordinata dei fenomeni, e assuefatto invece alle statistiche prêt-à-porter.
La ricerca parte dalla considerazione che l’intervento pubblico, a contrasto della violenza contro le donne, sia già legittimato da ragioni d’ordine umano, civile e sociale, ma che “si può migliorare solo ciò che si è in grado di misurare”.
Può essere di stimolo, per ridefinire le priorità di spesa ed investimento, una stima del valore economico dei costi sostenuti dallo Stato, dall'economia, e dalle stesse persone colpite dalla violenza fisica e psicologica, . Senza cadere nell'errore di considerare la dimensione economica avulsa dalle altre dimensioni della vita umana: la lente di ingrandimento sui costi economici e sociali consente infatti di comprendere meglio le conseguenze della violenza sulla vita delle vittime stesse e sulla società nel suo complesso.
Un esempio dei costi: quelli sanitari sono stati stimati in 460,4 milioni di euro e la cifra include il costo complessivo dei ricoveri al pronto soccorso delle donne vittime di violenza e delle cure successive.
I costi psicologici per l’assistenza delle vittime sono stati stimati in 158,7 milioni di euro.
I costi per farmaci delle donne che hanno subito violenza può essere rappresentato con una
spesa media complessiva di 44,5 milioni di euro.

mercoledì 15 gennaio 2014

I maltrattanti

Di Alberto Leiss

"Tra tante contraddizioni e ambiguità si comincia finalmente a vedere una verità semplice e incontestabile, ma da sempre rimossa: siamo noi uomini a agire la violenza, siamo noi il problema."

"Il dibattito pubblico sulla violenza degli uomini contro le donne potrebbe essere una buona leva per affrontare in modo molto più largo la quantità pervasiva di violenza che attraversa le nostre società."

"Credo non sia infondato chiedersi se il rapporto che noi maschi abbiamo con il nostro corpo, e con le pratiche di costruzione delle autorità, del potere, della forza e della violenza, non determinino un continuum nelle culture individuali, familiari e collettive che producono e fino a oggi hanno legittimato i comportamenti violenti."

Leggi l'articolo integrale

mercoledì 8 gennaio 2014

L'EIGE, un osservatorio sulle differenze di genere

L'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere ( EIGE ) è un ente istituito in linea con le politiche di parità dell'UE per promuovere la parità di genere e per combattere la discriminazione fondata sul sesso.
Il quadro giuridico e politico dell'EIGE è definito dal principio dell'UE che l'uguaglianza tra donne e uomini non è solo un diritto fondamentale, ma è vitale per la solidarietà e lo sviluppo delle nostre società, in particolare alla luce delle attuali sfide demografiche ed economiche.

La sua funzione principale è quella di sostenere gli Stati membri nello sforzo di superamento delle differenze di genere in materia di istruzione, lavoro, famiglia, relazioni, salute, il tempo libero, vita nella società, che possono limitare la libertà e le scelte delle persone. 
L'EIGE, come Centro di competenza europeo sulle questioni relative alla parità di genere, ha una funzione di consulenza sulle politiche migliori per il raggiungimento della parità di genere.

Come Centro di documentazione raccoglie e conserva dati comparabili, utili a tutti gli Stati membri. Si pone come quindi anche come “memoria istituzionale” delle opzioni politiche e delle buone pratiche.
Il programma di lavoro 2013-2015 intende rafforzare l'EIGE nel supporto agli Stati membri 
consolidando la cooperazione con le istituzioni, la condivisione di informazioni sulle politiche nazionali efficaci.
Le priorità strategiche sono sviluppare dati comparabili, fornire informazioni affidabili e dati sulla violenza di genere,oltre allo sviluppo di uno strumento analitico che identifichi i benefici della parità di genere. 

martedì 7 gennaio 2014

Il cognome della madre è un diritto

Maria Maddalena, la figlia quindicenne dei coniugi milanesi Alessandra Cusan e Luigi Fazzo, avrà il cognome della madre.
Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che oggi ha condannato l'Italia per aver negato ai due coniugi la possibilità di attribuire alla figlia il cognome della madre anziché quello del padre.
La coppia dal 1999 si batte, dalla nascita di Maria Maddalena, per vedersi riconosciuto questo diritto che consentirebbe alla prole la trasmissione del patrimonio morale del nonno materno deceduto, del quale sarebbe rimasta cancellata la memoria in mancanza di eredi maschi.
La sentenza è stata promulgata da sette giudici appartenenti alle seguenti nazionalità: turca, danese, italiana, serba, portoghese, svizzera e ungherese. Nella sentenza, che sarà definitiva tra 3 mesi, i giudici sottolineano che l'Italia "deve adottare riforme" legislative o di altra natura per rimediare alla violazione dei diritti riscontrata.

lunedì 6 gennaio 2014

Il sessismo è un problema culturale?

di Maria Grazia Casali

- Gli schiaffi sono schiaffi, scambiarli per amore può farti molto male.
- Un compagno violento non ti accompagna nella vita. Al massimo all’ospedale.
- Hai un solo modo per cambiare un fidanzato violento. Cambiare fidanzato.

Parte da qui Christian Raimo, dagli slogan contro la violenza maschile, per riflettere sul problema.
Sulla violenza di genere vista come una sorta di malattia sociale, senza sfumature tra uomo violento e uomo buono. Sulla “questione femminile” che è sempre confinata a una questione di donne. Sulle modalità mediatiche di comunicazione dell'urgenza, sul parlare dei sintomi senza le cause.
L'articolo apparso sul quotidiano "Europa" affronta la questione in senso culturale, problematizzando, cercando risposte nello stato emotivo del tempo che viviamo, chiedendosi quale ruolo abbia in tutto ciò l'educazione e la politica.
Parla di rilettura della polis nel privato, del confinamento dei conflitti nelle case, dell'incapacità a simbolizzare la rabbia.
Lo fa partendo da analisi, da studi che rilevano come la cultura maschilista non sia innata, e che il sessismo "benevolo" è accettato, non sempre riconosciuto dalle donne come forma di pregiudizio.
Soprattutto affronta un discorso coraggioso, viola il tabù sacro del machismo parlandoci della debolezza del maschio.
Si chiede se gli uomini abbiano mai provato a esplorare la propria educazione sentimentale e sessuale, la propria tensione verso la violenza, se abbiano mai dato un nome alle proprie fragilità, se abbiano mai cercato di mostrarle e spiegarle.
Secondo Raimo il problema è urgente, è "una tragedia sociale grave". Mentre le donne sono attrezzate a fronteggiare le crisi, la maggior parte dei maschi non ha modelli maschili utili per un mondo che cambia, non ha sviluppato quell'intelligenza emotiva che aiuta a uscire dallo stallo. Allora molti recuperano l'aggressività, nella reazione violenta contro i problemi che sfuggono dal controllo.
Quale può essere la soluzione? Soltanto la denuncia e lo stigma sociale? Se così fosse, limitarsi cioè all'emersione del problema, alla denuncia degli uomini violenti, la responsabilità collettiva è come se avesse dichiarato fallimento.

Raimo nel suo bell'articolo ci offre anche una traccia bibliografica. Da Lea Melandri a Chiara Volpato, da Pierre BordieuSteven Pinker, un elenco di libri e di studi utili a capire. Almeno qualcosa di più.